"Un eccellente libro-inchiesta" - Federico Rampini, Il Venerdì di Repubblica "Uno dei migliori, dei rari degni prodotti del nostro giornalismo d'inchiesta" - Goffredo Fofi
Secondo previsioni dell'Onu, nel 2050 saremo 9 miliardi di persone sulla Terra. Come ci sfameremo, se le risorse sono sempre più scarse e gli abitanti di paesi iperpopolati come la Cina stanno repentinamente cambiando abitudini alimentari? La finanza globale, insieme alle multinazionali del cibo, ha fiutato l'affare: l'overpopulation business. Stefano Liberti ci presenta un reportage importante che segue la filiera di quattro prodotti alimentari – la carne di maiale, la soia, il tonno in scatola e il pomodoro concentrato – per osservare cosa accade in un settore divorato dall'aggressività della finanza che ha deciso di trasformare il pianeta in un gigantesco pasto. Un'indagine globale durata due anni, dall'Amazzonia brasiliana dove le sconfinate monoculture di soia stanno distruggendo la più grande fabbrica di biodiversità della Terra ai mega-pescherecci che setacciano e saccheggiano gli oceani per garantire scatolette di tonno sempre più economiche, dagli allevamenti industriali di suini negli Stati Uniti a un futuristico mattatoio cinese, fino alle campagne della Puglia, dove i lavoratori ghanesi raccolgono i pomodori che prima coltivavano nelle loro terre in Africa. Un'inchiesta che fa luce sui giochi di potere che regolano il mercato del cibo, dominato da pochi colossali attori sempre più intenzionati a controllare ciò che mangiamo e a macinare profitti monumentali.
"Non c'è nulla di locale, niente di fresco: tutto viene da decine di migliaia di chilometri di distanza. Penso che questi baracchini polverosi straboccanti di scatolette, casse e sacchi d'importazione sono l'immagine più vivida e brutale di quello che sto cercando di ricostruire con i miei viaggi per il mondo: una specie di showroom del dominio delle aziende-locusta sull'industria del cibo. Osservo la carne celatinosa in scatola e penso a tutta la strada che ha dovuto percorrere per arrivare qui dagli allevamenti nella pampa argentina, ammesso e non concesso che la materia prima venga da lì. Guardo i cereali tedesci e m'immagino che sono fatti di mais probabilmente proveniente dagli Stati Uniti, arrivato al posto di Rotterdam, ritrasformato e ricaricato su un altro cargo diretto verso l'Africa subsahariana." |
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