A cosa serve l'infelicità

Interpretazione e cura della depressione

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A cosa serve l'infelicità  Vanni Invernizzi Descalzi   Erga Edizioni
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Esistono due forme di travaglio interiore: la depressione rallentata e la depressione agitata. La prima è caratterizzata dalla mestizia, dal pessimismo e dal rallentamento mentale e fisico; la seconda è improntata a irrequietezza, irritabilità e tensione motoria. Apparentemente opposte, sono però accomunate da un ingrediente irrinunciabile: il malcontento, l’afflizione, il dolore.

Ora, noi sappiamo che il dolore fisico rappresenta un campanello d’allarme che qualcosa non va nel nostro organismo. Si tratta, dunque, di un avvertimento, di un invito a rimettere le cose a posto. La stessa cosa vale per il dolore psichico. In taluni casi è utile, e talvolta indispensabile, l’impiego dei farmaci antidepressivi.

In altri casi però, principalmente quando le risorse cognitive e caratteriali della persona sofferente sono adeguate, conviene prima di tutto capire il “senso” di tale depressione. Occorre cioè comprendere la funzionalità adattiva perseguita dal profondo psichico, che si avvale della pena interiore come di uno strumento emotivo finalizzato al raggiungimento dei suoi obiettivi.

In questo saggio ci si domanda, appunto, a cosa serve l’infelicità, in quale direzione ci sprona il dolore psichico, per quale motivo l’animo si sente prostrato o travagliato. Da questa comprensione si potranno poi individuare le strategie opportune per conseguire, quando è possibile, serenità e concordia di rapporti col prossimo.

Come ci indica il filosofo F. Nietzsche (1887, III, n. 9): «[...] essere malati è istruttivo, e senza dubbio più istruttivo che essere sani».


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