Obiettivo sovranità monetaria... le potenzialità di riuscita, il dibattito e gli effetti della possibile svolta

Il ritorno alla stampa delle banconote da parte dello Stato avrebbe due effetti positivi. Il primo è che l'Italia si avvierebbe sulla strada del pieno recupero della sovranità, non solo monetaria ma anche nazionale.
Su questo punto c'è da riflettere: le battute sull'Italia “colonia” della Germania, affiorate nel 2012 nel dibattito politico italiano, sono solo fino a un certo punto un'esagerazione retorica. Negli ultimi vent'anni sono stati molteplici i segnali di un ritorno a un vero e proprio colonialismo in numerosi scacchieri internazionali, implementato con la motivazione di vere o presunte emergenze umanitarie (dal “genocidio” alla “responsabilità di proteggere le popolazioni civili”) usate per sfondare, in violazione della prassi e dello Statuto dell'ONU come applicato fino al 1991, la sovranità e integrità degli Stati membri delle Nazioni Unite.
Mancava però un altro fattore movente-chiave del colonialismo ottocentesco, il Debito e il mancato pareggio di bilancio. Come ricordano economisti e storici, tra il 1870 e il 1913 – l'epoca del Gold standard per gli uni (ad esempio, Mitchener and Weidenmier) e della “età dell'imperialismo” per gli altri (ad esempio, Fieldhouse) – nel 1881 in Tunisia, nel 1882 in Egitto, nel 1898 in Grecia e nel 1902 in Venezuela, il colonialismo (o la minaccia di intervento militare) si propose o si inverò facendo leva sull'indebitamento degli Stati da conquistare e sul connesso “necessario” loro commissariamento1. Indebitamento, di cui peraltro erano responsabili quasi sempre i banchieri europei dell'epoca, attivi anche in loco grazie a più o meno numerose colonie europee di popolamento.
“Commissariamento”, però, è la stessa parola usata dal premier tedesco Merkel per la Grecia, e dalla City di Londra per l'Italia2. Siamo dunque al rischio di “colonialismo”? Se si vanno a indagare alcuni meccanismi dell'UE – l'ultimo, in ordine di tempo, è l'istituzione dell'Eugendfor, corpo di gendarmeria speciale che sfugge al controllo della magistratura – la risposta potrebbe essere positiva. Ma la differenza, comunque, è che nell'Ottocento a essere colonizzati erano i Paesi dell'Africa e del Medio Oriente, mentre oggi a rischiare di essere commissariati per debito e violazione del bilancio sono anche i Paesi europei: è l'Italia, Paese fondatore dell'Europa dei Sei. La vecchia Europa coloniale è a rischio di colonizzazione da parte degli eredi di coloro che nell'Ottocento la spinsero alla conquista del mondo.
Il secondo effetto positivo è economico. Garantendo allo Stato la rendita annuale oggi usurpata dai banchieri privati della Banca d'Italia, sarà possibile non certo risolvere subito la paurosa recessione vissuta dal nostro Paese, che ha tanti aspetti e concause, ma cominciare a operare fattivamente in questo senso.
Il recupero del reddito da sovranità monetaria da parte dello Stato è la conditio sine qua non per affrontare positivamente una parte almeno dei nodi principali della crisi. Nessuno dei provvedimenti agitati durante la campagna elettorale del 2013 dai diversi partiti – abolizione o modifica dell'IMU, riduzione delle tasse, pagamento dei debiti contratti con le piccole e medie imprese, rilancio dell'occupazione, reddito di cittadinanza, tale o magari confuso con il sussidio da disoccupazione ecc. – può essere realizzato senza il recupero, da parte dello Stato italiano, della sovranità monetaria e della connessa rendita da emissione. Solo colpendo alla radice il Debito sarà possibile ridare slancio all'economia e alleviare le sofferenze di milioni di famiglie italiane che oggi non arrivano a fine mese.
Estirpare alla radice il debito è la premessa di ogni crescita, ma per inverare questo obiettivo occorre superare i molti pregiudizi interni a tutto il mondo politico. A sinistra, l'illusione fiscalista che tutto si risolve con una pur giusta redistribuzione delle tasse, senza affrontare – come diceva giustamente Giorgio Cremaschi, in occasione del convegno Il Nuovo Leviatano3 – il problema della nazionalizzazione da parte del sistema bancario, o almeno della Banca centrale. A destra, la superficiale equazione “libera impresa = libertà di azione” per le attività finanziarie, come se il controllo delle seconde non fosse la logica, ineludibile premessa della difesa e dello sviluppo della prima: vedi l'agonia di tante imprese private e la loro difficoltà di ottenere credito dall'attuale sistema bancario italiano ed europeo. Il liberismo finanziario rappresenta la morte del libertà d'impresa produttiva.

3.1. La crucialità della sovranità monetaria e i principali nodi del dibattito in Italia
Una battaglia di questo tipo è del resto molto difficile: i poteri contro cui ci si scontra sono dotati di una capacità aggressiva a tutto campo, ivi compreso quello mediatico, segnato di tanto in tanto dal terrorismo psicologico delle agenzie di rating. La strada della lotta alla supremazia della finanza sull'economia reale – l'economia dei produttori, l'economia-progresso oggi vessata dall'economia-truffa della cosiddetta “finanza creativa” – è segnata da pagine critiche oscure e meno oscure. Dietro l'assassinio di Lincoln e di Kennedy emerge, tra dubbi e certezze, anche questo specifico e cruciale problema.
Lincoln volle emettere dei dollari di Stato, i greenbacks, per fare fronte alle spese della guerra civile. La tesi più diffusa è che il suo assassinio sia stato opera di un gruppo di sbandati sudisti a guerra finita, ma già negli anni Venti del secolo scorso un avvocato liberale canadese, Gerald McGeer, avanzò l'ipotesi di un complotto dei banchieri spaventati dalla politica monetaria della Casa Bianca: due leggi – il Legal Tender Act del 1862 e il National Banking Act del 1963 – avevano permesso l'emissione di dollari di Stato “a corso legale”4 (i greenbacks, appunto), garantiti cioè di copertura aurea o argentea dal Governo.
Quanto a Kennedy, preoccupato dell'aumento abnorme del debito USA, seguì le orme del suo predecessore: volle sfidare la Federal Reserve Bank e il 4 giugno 1963, richiamandosi al potere di delega del Presidente previsto dal Codice degli Stati Uniti5 – e, indirettamente, dalla Costituzione, che attribuisce al Congresso il potere di «battere moneta, stabilire il suo valore e quello delle monete straniere» (art. 1, sez. VIII, 5) – firmò un ordine esecutivo presidenziale (n. 11.110) per l'emissione di “certificati argentiferi” da parte del Ministero del Tesoro. In sostanza, una nuova banconota di Stato, garantita dalle riserve di argento; biglietti tali e quali a quelli della FRB, ma con una diversa titolazione: non “Federal Reserve Note”, ma “United States Note”. Come i greenbacks di Lincoln.
Infine, anche la morte di Aldo Moro richiama un retroscena simile, l'emissione di biglietti di Stato durante i suoi governi dal 1964 alla morte. Peraltro, nei casi Moro e Kennedy (e Tangentopoli) al nodo testé indicato potrebbe aggiungersi anche quello del conflitto araboisraeliano: per Tangentopoli, abbiamo già visto la scesa in campo dei Rothschild a favore di una “rivoluzione” che aveva decretato la morte politica dei due protagonisti di Sigonella. L'ostilità di Kissinger per il pro-arabo Moro e le tesi sul suo assassinio pubblicizzate dalla Commissione Stragi nel 1999, sono fatti noti. Kennedy, infine, oltre a emettere l'ordine 11.110 sopra ricordato, il 5 luglio 1963 aveva scritto una lettera al premier israeliano Levi Eshkol chiedendogli di permettere un'ispezione nella neonata centrale nucleare di Dimona6.
D'altro canto, a parte queste considerazioni di tipo generale, la questione della sovranità monetaria ha trascinato e trascina con sé alcuni nodi e interrogativi sulla strategia da seguire, o sulle sue modalità di attuazione: se uscire o no dall'euro, restando magari come l'Inghilterra dentro l'UE; se puntare piuttosto a due eurozone, Sud e Nord dell'Europa; quale sia il rapporto tra Popolo e Stato per quel che attiene alla sfera della sovranità; il ruolo che possono avere le monete complementari (regionali, locali), teoricamente mutuate dall'esperimento compiuto da Auriti a Guardiagrele nel 2000; quale il rapporto ottimale tra dialettica interna ai ceti produttori e dialettica tra produttori e banchieri- finanzieri; la proposta degli Eurobond – il “titolo unico di debito”, di cui parla l'economista tunisino Fitoussi – come possibile soluzione della crisi del sistema euro; infine la questione, già accennata, se la rivendicazione della proprietà statale della Moneta corrisponde alla categoria dello “statalismo” paventata dai liberisti.

3.2.   Il rischio della contrapposizione tra Popolo e Stato  e il bluff delle monete complementari
Cominciamo dal rapporto tra Popolo e Stato. Nella storia di tutti i Paesi, lo Stato, anche quando retto da dittatori, resta comunque la “naturale” proiezione istituzionale del Popolo, il quale ha il diritto e il dovere (per propria autodifesa) di controllarlo per evitarne la mala gestione e difenderne e migliorarne il carattere democratico. È giusto battersi per la sovranità monetaria, come quarto potere-principio costituzionale a favore del Popolo: ma è sicuramente lo Stato a dovere stampare le banconote, evitando l'estremismo localistico e una visione qualunquista della rappresentanza nazionale.
È difficile, del resto, non vedere le contraddizioni e la fragilità di questo percorso. La moneta locale può essere utile in una situazione emergenziale di default spinto (Roberto Fiore) e può anche accompagnare, come “testimonianza tra la gente”, la propaganda a favore di un progetto di legge nazionale per il ripristino dell'emissione monetaria da parte dello Stato, ma non può sostituirlo. Auriti stesso si fece sostenitore di un progetto di legge nazionale. Inoltre, nei fatti, l'esperimento “rivoluzionario” a Guardiagrele – l'emissione della banconota SIMEC nel luglio del 2000 – non aveva dalla sua parte solo il carisma personale del docente universitario sui suoi concittadini, ma anche la particolare fase di transizione in cui esso ebbe luogo, cioè il passaggio dalla lira all'euro o, per meglio dire, il passaggio del consumatore dalla più che secolare assuefazione alla moneta nazionale a quella nuova europea, che peraltro stava dimezzando stipendi e salari a causa del cambio iniquo accettato da Prodi.
Il discorso semmai deve passare, come eventuale fase intermedia a breve termine verso una legge nazionale, a livello regionale: uno stimolo-minaccia per il Parlamento tale da spingerlo ad approvare una legge per il ripristino della sovranità monetaria dello Stato. Solo in questa prospettiva, il discorso delle monete complementari (moneta siciliana, moneta lombarda di Maroni, monete locali) ha una funzione di reale cambiamento; altrimenti questi tipi di monete, quando non diventano dei semplici “buoni sconto” interni a una data comunità o categoria (Marrucinum, Scec, Ecoroma, Eco-Aspromonte, Pedrengo, Promessa di Pisa, Palanca di Genova, EuroSic ecc.), non sono comunque affatto “alternative” e fungono solo come escamotage e specchietto per le allodole, per non affrontare il nodo chiave: la riacquisizione, da parte dello Stato, della sovranità monetaria e del connesso reddito da signoraggio.

3.3. Il localismo, l'altra faccia dell'indebolimento delle sovranità statuali da parte della finanza transnazionale
C'è un'ulteriore considerazione da fare: talvolta, l'opzione della moneta locale si accompagna all'idea di un presunto diritto degli abitanti di un paese, di una città, di una provincia o di una regione, di godere in forma privilegiata delle risorse naturali locali. Filettino crea una moneta locale e, a complemento di tale iniziativa, alcuni teorizzano che dei frutti delle risorse idriche entro i confini del piccolo Comune laziale, dovrebbero godere, più della restante popolazione italiana, i suoi abitanti. Un privilegio per 500 filettinesi a discapito degli altri 60 milioni di italiani.
È un modo corretto di uscire dalla crisi che attanaglia l'Italia? L'emissione della moneta locale deve diventare un dispositivo permanente degli 8mila Comuni italiani, facendo regredire l'Italia al Medio Evo, accompagnando dunque dal “basso” l'usurpazione dall'alto della sovranità del popolo italiano da parte dei poteri bancari e finanziari transnazionali? È difficile rispondere affermativamente a tale quesito: andate a leggere più avanti cosa pensava Mattei del prezzo del metano e del petrolio a seconda della distanza chilometrica dalla raffineria. Il costo del trasporto non doveva condizionare il prezzo del prodotto, che doveva essere unico per tutto il territorio nazionale.
In effetti, quale che sia il modello statuale adottato – più o meno centralizzato o federalista – le risorse naturali, come insegna l'esperienza non solo del Ventennio fascista ma anche della Repubblica dei padri fondatori morta con Tangentopoli, appartengono in proprietà indivisa a tutto il popolo italiano. La via d'uscita dall'usurpazione della sovranità e del reddito da emissione monetaria non sta nel dogma del localismo esasperato. È difficile pensare che si possano combattere in tal modo il dirigismo europeo e la sua articolazione monetaria, l'Euro.

3.4. L'Euro: né dogma, né immutabile mostro
Si giunge così a un nodo cruciale del dibattito in corso: l'Italia deve restare nell'eurozona o uscirne e tornare alla lira, per meglio contrastare gli effetti di una crisi finanziaria in cui ha avuto e ha largo peso il carattere privatistico della BCE e dei grandi poteri finanziari che la sorreggono? Basta, per superare la crisi del debito dell'Italia, proporre due eurozone (Bruno Amoroso: i Paesi della “periferia” sud come Grecia, Spagna, Italia e i Paesi del centro-nord) con possibilità di oscillazione del cambio tra i due blocchi, come all'epoca del serpente monetario europeo? Bastano gli eurobond che, pur eliminando le speculazioni da spread, manterrebbero l'eurozona divisa tra Paesi più e meno indebitati, tra Paesi ricchi e poveri7? Oppure occorre ritornare alla lira, per acquistare un maggiore spazio di manovra nei cambi con le altre monete, giocando su una parziale svalutazione per fare aumentare il nostro export e rilanciare l'economia?
La risposta a queste domande, da un lato deve partire dal presupposto che le due eurozone, esattamente come le “monete complementari”, non possono diventare l'alibi per non affrontare la questione chiave del signoraggio di Stato (Maurice Allais) e, dall'altro – fatto salvo questo cruciale obiettivo – non è comunque definibile una volta per tutte.
Contro l'Euro giocano diversi fattori: la maggiore capacità di manovra sulla moneta nazionale a cambio fluttuante; il già citato cambio iniquo, che ha trascinato verso la povertà tutto il ceto medio e medio-basso del nostro Paese; la mancanza di controllo sulla BCE da parte dello Stato italiano e di tutti gli altri Stati membri; l'usurpazione della sovranità monetaria da parte di un organismo nei fatti privato, che pensa solo a salvare le banche invece di aiutare le famiglie e le imprese in Italia e in Europa.
A favore dell'Euro ha sin qui giocato la tendenza mondiale alla creazione di monete transnazionali rappresentative di sempre più estese aree economiche: un fenomeno che non è affatto detto sia sempre stato o sia, per natura intrinseca, espressione e funzione dello strapotere della finanza internazionale, di cui pure sono frutto diretto questa BCE e questa Europa.
In Eurasia, Cina, Russia e Iran stanno pensando da tempo a creare una moneta unica; in Africa, Gheddafi avrebbe voluto dare vita e diffondere il Dinaro d'oro in tutto il continente africano ed è probabile che questo sia stato uno dei principali motivi della guerra, che ha abbattuto il suo regime8. Senza volere sostenere l'applicabilità in Occidente di certi regimi così lontani dalla nostra cultura, considerazioni di geopolitica e di strategia economica generale inducono a pensare che l'Euro, persino quello iniquo di oggi, abbia dato e dia fastidio al Dollaro, soprattutto in Medio Oriente.
Alcuni Stati di questa regione – Irak, Siria, Iran – hanno infatti manifestato negli ultimi dieci anni la volontà (o quanto meno la disponibilità) di sostituire la moneta USA con quella europea. Nel 2003 il «Weekly Standard» pubblicò un numero, sulla cui copertina campeggiava un vistoso «Against United Europe»; al suo interno, un articolo del neocons Paul Wolfovitz, un lobbista USA favorevole allo scontro frontale con il mondo islamico, che accusava l'Europa di non sostenere a dovere la guerra contro Saddam Hussein. È anche questa mentalità occidentale, questo Occidente oltranzista, a essere contro l'Euro. E questo va valutato.
In quest'ottica, sarebbe ben pensabile una opzione “aperta” da verificare nel corso del processo di riforma da attuare: nessun dogma, né quello della permanenza italiana nell'eurozona sotto il tallone della BCE, come dicono alcuni, né quello a favore dell'uscita dall'Euro, come dicono altri. Dipende; dipende dall'eventuale boicottaggio del sistema bancario privato, di alcune soglie minime da difendere o da raggiungere, tra le quali, ”oggi”, la riacquisizione, da parte dello Stato italiano, del reddito da emissione monetaria, finita dopo il 1992 in mano ai banchieri privati della Banca d'Italia. Le vie d'uscita possono essere diverse. Nel lungo periodo, comunque, l'alternativa è chiara: o la riforma radicale della BCE, o l'uscita dell'Italia dall'eurosistema. Gli Stati europei devono assumere il controllo della Banca Centrale dell'Unione. Peraltro, già oggi, estate 2013, la situazione è ben diversa da quella di uno o due anni fa, e sempre più grave: l'opzione secca “ritorno alla lira” è di gran lunga avanzata, rispetto a quella possibilista “dentro l'Euro”, un'eurozona comunque riformanda. È da vedere d'altro canto quali strade possa aprire l'Ungheria di Orbàn, non a caso boicottata e demonizzata da molta stampa occidentale.

3.5.   Alcuni tabù della Sinistra. Non c'è “keynesismo”  senza controllo della moneta e del suo reddito
La profondità della crisi porta alla luce anche alcuni tabù della Sinistra, in tema di banche e di sovranità monetaria, che rendono difficile una risposta adeguata. Una riforma fiscale equa è una misura giusta, ma ci si deve chiedere se sia sufficiente e se debba colpire anche – e in che misura – l'impresa in crisi, in una fase storica in cui fabbriche grandi e piccole vanno chiudendo a causa di quella che alcuni economisti hanno definito «l'austerità distruttiva», fonte di recessione e dunque di peggioramento della stessa crisi che pretende di sanare.
Si può e si deve fare altro, oltre alla riforma fiscale? Nel rispondere a questa domanda sembra quasi che la Sinistra ufficiale – eccezioni a parte – abbia scarsa memoria del passato, e faccia dunque fatica a cogliere la specificità della crisi attuale. L'opzione keynesiana del rilancio della domanda tramite massicci investimenti a deficit programmato, dimentica che oggi il nostro Paese non è in grado di effettuare una politica monetaria sovrana, tutta nelle mani della BCE. La consimile opzione rooseveltiana non tiene conto né delle leggi di regolazione delle Banche USA nel programma del New Deal, né del disprezzo per le grandi opere, coltivato da almeno una trentina d'anni dalla Sinistra italiana, tra “decrescita felice”, “piccolo è bello”, estremismo ecologista: tutte idee cui l'opposizione ai governi di centrodestra ha attinto a piene mani, pur di boicottare il Ponte di Messina o la TAV. Né si tratta di critiche a progetti specifici, ma appunto di una nuova filosofia economica, che fa a pugni con tutta la tradizione del socialismo italiano e con lo stesso rooseveltismo: come si concilia l'estremismo ecologista, con le grandi opere promosse dal presidente Roosevelt – vedi il Tennessee Valley Authority – per aggredire la gravissima disoccupazione creata dalla Grande Crisi del 1929?
Ma soprattutto l'assenza di memoria della Sinistra riguarda la storia nazionale. Andando a ritroso nel tempo, sembra quasi che chi dirige il Centrosinistra non voglia prendere in considerazione la pagina tragica delle privatizzazioni del 1992, che abbiamo raccontato nel precedente capitolo; forse non a caso, perché fu proprio il Centro-sinistra, negli anni Novanta, a trasformarsi in “sinistra finanziaria” e a favorire le prime, peggiori riforme antisociali – pensioni, pacchetto Treu, lavoro interinale – che ancora oggi pesano sulle condizioni di vita dei cittadini a reddito fisso.
Secondo e terzo “buco” di memoria, il boom economico dei tempi di Mattei e i Biglietti di Stato di De Gasperi (1951) e Aldo Moro (1966- 1979). Una prassi consolidata che potrebbe essere oggi riesumata, forse anche in chiave europea, per quel che attiene alla quota euro assegnata all'Italia.
Questi periodi, eventi, fatti richiamano tutti lo stesso scenario, oggi scomparso e da sempre a rischio tabù per la Sinistra: la sovranità monetaria, il controllo dello Stato sull'emissione monetaria e l'acquisizione mediata (B.d'I.) o diretta (i Biglietti di Stato) del connesso reddito da signoraggio. Dietro il boom degli anni Cinquanta, in effetti, c'era non solo la geniale metanizzazione dell'industria, ideata e voluta da Mattei per porre fine alla cronica carenza di energia dell'Italia, ma anche la facilità – come vedremo nel capitolo dedicato a Mattei e a Madoff – con cui un dirigente di Stato, capace e devoto al benessere del popolo italiano, poteva ottenere immediatamente dal Governo 800 milioni di lire per finanziare l'impianto ENI di Ravenna. Siamo nel 1955, forse erano ancora in circolazione i Biglietti di Stato dei governi De Gasperi (emissione del 1951), probabilmente proposti e ottenuti dal Ministro delle Finanze Ezio Vanoni.
Ma di questa dimensione del problema, nella memoria del Centro- sinistra e della Sinistra, non pare restare nulla: guadagnata a un liberismo senza confini, che ha abbracciato beni primari come l'acqua o il latte, e anche o soprattutto la sfera finanziaria e bancaria di cui ha sostenuto la deregulation degli ultimi due ventenni, la leadership della Sinistra sembra non essere in grado di cogliere la negatività assoluta del decreto legge 333/92, con cui il governo Amato decise di privatizzare l'industria di Stato. Un patrimonio immenso, frutto del lavoro di molte generazioni di italiani, che di lì a qualche anno sarebbe stato svenduto a costo ridimensionato grazie alla svalutazione della lira del settembre 1992, imposta da uno degli ospiti del panfilo Britannia: George Soros.

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