Si fa presto a dire chemio

Cronaca di un'esperienza vissuta (e di altro ancora)

Si fa presto a dire chemio  Paola Rossi   Società Editrice Fiorentina
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Si fa presto a dire chemio è il diario di bordo di un viaggio, difficile e faticoso, all'interno delle emozioni e degli eventi che la protagonista vive nel suo incontro con il cancro e con la chemioterapia, in particolare. Attraverso la propria testimonianza, l'autrice ci induce a riflessioni che certamente risultano
importanti per i medici e per gli infermieri, per i pazienti stessi e per le persone che, nell'illusione di una vita senza fine, non si pongono frequentemente interrogativi sul senso della perdita della salute.
La battaglia contro la malattia, all'insegna del rapporto di amicizia-inimicizia verso la chemioterapia, è la battaglia dell'uomo verso il limite, che solo la consapevolezza e la scoperta di sé, che l'autrice dimostra appieno di possedere, possono inserire in una più ampia prospettiva esistenziale. Un racconto che sa trovare il posto a ogni oggetto, a ogni cellula, a ogni persona. Una parte di vita vissuta con disciplina e stima per la scienza.


Si fa presto a dire chemio  Paola Rossi   Società Editrice Fiorentina
Si fa presto a dire chemio
Cronaca di un'esperienza vissuta (e di altro ancora)

Paola Rossi



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19 luglio 2007
Oggi non mi sono svegliata in gran forma. Ieri sera, della cena, di pessima qualità, non ho mandato giù quasi niente e stanotte la debolezza generale mi ha fatto dormire poco. Recuperato un tantino stamattina presto, straffogandomi con tre pacchettini di biscotti, dopo il prelievo del sangue. Ma che schifo tutto questo dolce!
Ormai a casa nei tempi della mia malattia avevo adottato tutt’altro regime alimentare: molto “integrale”, con cereali, legumi, frutta, verdura, un po’ di carne e pesce, e quasi niente zuccheri. Stavo abbastanza bene così, sentivo che il fisico ci stava e non si affaticavano gli organi. Comunque in questa situazione bisogna reagire e tentare di buttar giù tutto quello che si può e che ci sta. Così, protetta sempre dall’“antiemetico”, mi sono fatta anche la seconda colazione, quella ufficiale, con tè e fette biscottate; meno male, sempre carboidrati sono, ma non direttamente zuccheri.
Adesso mi sono imposta riposo e relax, per compensare la frenetica, scambievole attività telefonica di ieri. Via tv, via giornale, via libro; telefonino via, no, non si sa mai, ma speriamo che non mi chiami nessuno per il momento. Quasi cullata dal discreto rumore della pompa che inietta la flebo, di cui cerco di individuare le note “tum tum tum tumtà”, ripetitive e monotone, ma con un certo ritmo, mi sto “sciroppando” il terzo flacone della mattinata che, con sollievo, ho visto essere un “glucosato”. E un altro mi aspetta pronto sul tavolino. Sono belli, grandi, proprio quel che ci voleva e mi daranno forza.
Dopo, a casa, penseremo ai capelli.
I capelli. A quattordici giorni esatti dalla prima giornata di chemio mi stanno dicendo: «Ciao, ce ne andiamo». Buffo. All’inizio sembravano ciocche spaventate, mi facevano pensare a quando il cane ha il pelo tutto bagnato che gli sta attaccato, quasi incollato al corpo. Così le ciocche del mio caschetto biondo: non ribelli, non difficili da tenere, ma appoggiate bene bene, attaccate alla testa. Secondo me quasi spaventate dall’effetto che stavano sentendo. Non che il risultato capigliatura fosse apprezzabile, perché mancava volume e iniziavano a essere un po’ spenti, ma non c’era quasi bisogno di pettinarli: ti alzavi la mattina e li trovavi già belli accostati alla testa. Sì, sì, paura anche loro. Poi, a poco a poco, mi sono trovata qualche ciocca sollevata spontaneamente da una parte e dall’altra della testa, sparata in alto e rigida come fosse imbalsamata. L’impressione era che volesse scappare dal bombardamento che stavano subendo i bulbi. Difficile metterli giù, perché i capelli sembravano pieni di elettricità: li sfioravi e quelli si sollevavano a cresta.
Ma ora no, ora dicono che sono stanchi anche loro: se li passi col pettine, ne rimane pieno, se ripassi una ciocca con la mano, te la porti via in buona parte. Il pavimento è cosparso di “cadaveri”; a letto a volte ti sembra di avere ragnatele in faccia: sono loro che, staccandosi, si scompigliano per ogni dove.
Il rito prevedo debba essere questo: prima un taglio corto con le forbici giuste che uso quando taglio i capelli alla mia anziana mamma, poi via a rader tutto con la macchinetta.
Rapata a zero, vedrò la forma della mia testa! Mia mamma diceva sempre che da piccolina, nata pelata, dicevano di me: «È perfetta, le manca solo un ricciolino».
Mentalmente mi sono preparata per tempo. Credo che non subirò un trauma, ma per non farlo subire ai miei e non espormi alla curiosità della gente, a ogni buon conto ho già disposto per la preparazione della parrucca. I familiari: perché sbattergli ogni giorno davanti, per così dire, “i segni del mio dolore”? Meglio mantenere, se possibile, un aspetto decoroso e gradevole: ne guadagnano il tono e l’umore.
La gente, quella che non ti conosce… Io so cosa ho pensato, solo alcuni anni fa, quando non avevo ancora sentito nominare la chemio. Ho giudicato eccessivamente stravagante una giovane donna con un bizzarro turbante in testa, tutto avvolgente fino alle orecchie, alla nuca, senza lasciare uscire neanche una ciocca di capelli!
Neppure alle suore è più imposta la rasatura completa, inutile mortificazione della loro femminilità. La mia cara amica ha sofferto moltissimo questa perdita e, dovendo subire altri e altri cicli di chemio, ha fatto di tutto per sottoporsi a protocolli di chemio che non comportassero la perdita dei capelli.
Del resto, non sono i capelli uno dei simboli più sensuali della femminilità? «Erano i capei d’oro a l’aura-Laura sparsi…».
Tuttavia sempre meno del seno e, siccome noi un seno l’abbiamo già perduto, è comprensibile che ci si attacchi a quel che ci rimane. Comunque, ora come ora, mi sento pronta, non volendo neppure prendere in considerazione di rientrare in quei rari casi in cui non ricresceranno più o rispunteranno solo parzialmente.
A qualcuno è successo, ma è raro, per fortuna. Alt. Non posso appoggiare una mano sulla testa che ne ho le dita piene. Ho riempito adesso di capelli la tazza del water, poi mi sono fermata perché la cute è indolenzita, dolorante. Il rito è incominciato. Il foulard della gola l’ho passato in testa, così, quando mi portano il pranzo, non rischio di mangiare dell’altro. Ma vogliamo cercare di vedere tutto questo anche dal lato positivo?
Per un bel po’ di tempo non ci sarà più da farsi cerette, alle gambe, ad esempio. Sei tutta bella depilata, anche dove, di regola, non ti depileresti mai! E che dire dei radicali liberi? La chemio ammazza tutto, pure quelli. Se sopravvivi, sarai anche più bella. Forse. Mi sbaglio o tempo fa ho visto un film comico intitolato La morte ti fa bella? Sì, era proprio un film comico. Ma i capelli! I capelli, quando tornano (e tu confidi che tornino) non pensare di poterli avere come prima, perché rinascono naturali, cioè tutti belli bianchi, almeno i miei, o al massimo grigini.
Sarai di colpo un’altra persona: un’altra rispetto alla “calva” e un’altra rispetto al casco biondo di prima. Bazzecole, comunque bazzecole, rispetto al clou del problema, anche se penso che, per un essere umano, così sbattuto fisicamente e psichicamente, anche una bazzecola a volte possa far male al cuore.
Fisicamente… te lo vedono tutti, ma psichicamente? Come spiegare che devastazione può provocare la consapevolezza che un invisibile male si sta impossessando del tuo corpo; subdolo, perché non conosci in anticipo i suoi percorsi, non puoi anticipare le sue strategie, non puoi sbarrargli la strada. Va dove vuole, come vuole. Le sue principali preferenze (leggi: metastasi), magari le conosci, ma non le sue priorità.
Le nostre sentinelle di vedetta (leggi: esami clinici, diagnostici, ecc.) stanno in allerta, sì, ma di necessità devono avere dei turni di riposo: non si possono sparare su un corpo radiazioni a ripetizione col risultato di farsi un autogol.
Quindi sai che il nemico comunque c’è; se non lo vedi può essere tramortito o in letargo, in preparazione di un altro assalto con più mezzi. E noi allora gli opponiamo un altro protocollo chemio, sperando che funzioni meglio, come Annibale, che sbaragliò i Romani, perché gli elefanti non li avevano mai visti.
E come spiegare che il tuo male alle ossa non è come quello di un malato di artrosi? Che le sue ossa malandate, infiammate, deformate, sono comunque le sue ossa, mentre quelle di un malato oncologico non lo sono più, perché sono fatte di cellule diverse, di cellule trasformate, di cellule neoplastiche? Il dolore magari è lo stesso, ma il percorso e il possibile sbocco molto diversi!
Forse ho paura.


Si fa presto a dire chemio  Paola Rossi   Società Editrice Fiorentina
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