Curare in maniera naturale l'Ipotiroidismo - 'Diagnosi dell'ipotiroidismo' capitolo 3

E finalmente siamo giunti al punto dolente: come possiamo effettuare una corretta diagnosi in caso di ipotiroidismo?
La risposta più scontata (che sarà anche quella del vostro medico di famiglia e molto probabilmente anche del vostro endocrinologo) sarà: «Facciamo gli esami del sangue». Se siete arrivati a questo punto del libro avrete già capito che questa non è la risposta esatta. Magari fosse così semplice! Magari un semplice esame del sangue fosse sufficiente per toglierci ogni dubbio e fosse in grado di confermare o di escludere con certezza una ipofunzione della tiroide! Naturalmente, e per fortuna, qualche volta questo succede, qualche volta gli esami effettivamente ci confermano che qualcosa non va, che la nostra tiroide non sta funzionando come dovrebbe, e per questo gli esami vanno comunque fatti. Perché se da questi emerge un problema (per esempio un elevato TSH, un basso FT3, peraltro raramente esaminato, e/o un basso FT4, o degli anticorpi anti-tireoglobulina o anti-TPO molto elevati) significa che un problema effettivamente c'è. Ma purtroppo non sempre è vero il contrario, cioè TSH, FT3, FT4 e anticorpi normali non ci garantiscono che la tiroide funzioni normalmente. E, quindi, non possiamo escludere la presenza di un ipotiroidismo.
Lo scopo di questo paragrafo non è quello di fare di tutti voi degli esperti nella diagnosi dell'ipotiroidismo, cosa che va sempre lasciata a un medico competente, ma è quello di informarvi delle problematiche di una diagnosi fatta con i risultati degli esami di laboratorio, e soprattutto di mettervi al corrente dei moltissimi e ignorati sintomi che una insufficienza tiroidea può provocare, cosicché se vi riconoscete in uno di questi quadri possiate rivolgervi a un medico esperto che possa capire e aiutarvi a risolvere i vostri problemi risparmiandovi anni di inutili sofferenze e, perché no, anche notevoli costi, girovagando da un medico all'altro in cerca di un aiuto che non trovate.

UN ALTRO PO' DI STORIA
Fin dalla sua scoperta l'ipotiroidismo fu giudicato difficile da diagnosticare per la sua insorgenza insidiosa e per il notevole numero di sintomi anche paradossali che era in grado di produrre. Per anni la diagnosi si basò sulla capacità clinica e diagnostica del medico, cioè sulla sua abilità nel riconoscerne i segni e i sintomi.
Nei primi decenni del Novecento fu introdotto il test del metabolismo basale o BMR (Basal Metabolic Rate) mediante calorimetria indiretta. Si tratta di un esame strumentale che misura il dispendio energetico a riposo, ovvero la quantità di calorie necessarie per lo svolgimento delle sole funzioni vitali, e lo fa attraverso la misurazione delle variazioni di concentrazione di ossigeno e anidride carbonica nei gas respiratori. Il paziente dev'essere in condizioni basali, ovvero: a digiuno da circa dodici ore, a riposo termico, meccanico e psichico, e deve respirare attraverso uno spirometro. In questo modo si misura, separando l'aria inspirata da quella espirata, il consumo di O2 e l'immissione di CO2. Da questi valori si calcola se il suo metabolismo è normale, accelerato o rallentato.
È facile intuire come questo test sia assai delicato e come qualsiasi variazione dello stato “basale” del paziente possa alterarne il risultato.
Proprio perché il test non era infallibile, molte volte il medico, in caso di sospetto ipotiroidismo, prescriveva una “terapia di prova” con ormoni tiroidei e se il paziente con questa migliorava la diagnosi era confermata. Si trattava cioè della classica diagnosi “ex-adiuvantibus” (cioè dedotta “dai giovamenti”).
La ricerca per un metodo diagnostico più affidabile continuò e negli anni Quaranta del Novecento fu proposto il primo test sul sangue del paziente, il PBI (Protein-Bound Iodine o iodio sierico legato alle proteine). Questo si basava sul principio che gli ormoni tiroidei contengono iodio, e che la maggior parte di questi era legato a molecole proteiche. Misurando lo iodio legato alle proteine si pensava di misurare anche la quantità di ormone tiroideo circolante. In realtà non era così perché il test misurava anche lo iodio presente nella dieta, oltre ad avere altri problemi di affidabilità, finché negli anni Sessanta questo test fu definitivamente accantonato. In quegli anni furono introdotti altri test, ma nessuno di questi fu sufficientemente affidabile da restare in uso a lungo.
Alla fine degli anni Sessanta fu introdotta la misurazione del TSH, cioè dell'ormone ipofisario tireostimolante o tireotropina, che stimola la tiroide a produrre ormoni ed è a sua volta controllato da un meccanismo di feedback. Se gli ormoni tiroidei in circolo sono pochi (in caso di ipotiroidismo), questa carenza stimolerà l'ipofisi a produrre più TSH per spingere la tiroide a produrre più ormoni (quindi il valore del TSH si alzerà), mentre se gli ormoni tiroidei in circolo sono molti (come in caso di ipertiroidismo) il valore del TSH diminuirà. Questo è, a tutt'oggi, il principale test di riferimento per la diagnosi di ipotiroidismo.
Negli anni successivi furono introdotti i test per il dosaggio degli ormoni tiroidei T3 e T4 e in seguito quelli per misurare le loro frazioni libere (FreeT3 o FT3 e FreeT4 o FT4), cioè le quantità di ormoni non legate alle proteine di trasporto e quindi effettivamente disponibili per l'utilizzazione da parte delle cellule. Anche le tecniche di misurazione sono cambiate negli anni, alla ricerca di una sempre maggiore precisione: si è passati dalla RIA (Radio Immuno Assay) alla IMA (Immuno Metric Assay) e ad altre metodiche sempre più sofisticate. Ma non va dimenticato che non esiste un test perfetto, che ogni tecnica ha i suoi limiti, che esistono sempre possibilità di interferenze e che quindi la predittività del test non è mai del 100%.
Altri test messi a punto in anni recenti sono il dosaggio degli anticorpi anti-tireoglobulina (TG-Ab o Anti-GB) e anti-TPO perossidasi tiroidea (TPO-Ab o Anti-TPO), molto utilizzati per la diagnosi di tiroidite autoimmune soprattutto quella di Hashimoto.

I TEST SONO INAFFIDABILI
Fra tutti i test succitati quelli che il medico oggi prescrive di routine per controllare la funzionalità della tiroide sono il TSH e, spesso solo in caso questo risulti anormale, l'FT4 più qualche volta, gli auto-anticorpi (TG-Ab e TPO-Ab).
Il dosaggio dell'FT3 viene molto spesso trascurato perché l'opinione della comunità scientifica è che TSH (ed eventualmente FT4) siano sufficienti per confermare o escludere la diagnosi di ipotiroidismo.
Il TSH è considerato il test più importante e affidabile (“gold standard”) per dirimere il dubbio in caso di sospetta insufficienza tiroidea quando non c'è nessuna prova scientifica indiscutibile che detta misurazione possa individuare la stragrande maggioranza dei casi di ipotiroidismo.
L'ipotesi alla base del test è che se la tiroide lavora normalmente il TSH sarà in un certo range definito di “normalità” (range ottenuto misurando il valore del TSH di un elevato numero di persone ritenute prive di problemi alla tiroide). Se il TSH è alto, la tiroide del paziente sta producendo pochi ormoni e quindi il paziente verrà diagnosticato come ipotiroideo, mentre se al contrario il TSH è basso la tiroide del paziente sta producendo troppi ormoni e il paziente può essere diagnosticato come ipertiroideo. In teoria la logica è ineccepibile, ma nella pratica purtroppo non è affatto così.
Innanzitutto, non è detto che il sangue prelevato in un dato momento rispecchi fedelmente la realtà, poiché ci possono essere variazioni significative dei livelli di ormoni nell'arco della giornata. Ad esempio, l'emivita del TSH è solo di un'ora per cui la sua produzione risente immediatamente di piccole fluttuazioni nei livelli di T3 e T4 circolanti e di conseguenza, al momento del prelievo, il suo livello potrebbe essere un po' più alto o un po' più basso della media. Altre variabili potrebbero essere come il paziente si sente al momento del prelievo, lo stress del prelievo stesso, il momento della giornata, il giorno del ciclo mestruale di una donna o, infine, come il campione stesso viene maneggiato, conservato e trasportato.
In uno studio pubblicato nel 1997, un gruppo di endocrinologi tentò di correlare i classici sintomi e segni clinici dell'ipotiroidismo con i risultati dei moderni test di laboratorio. Questo fu il primo studio in circa trent'anni nel quale si tentava di dimostrare l'efficacia clinica dei test di laboratorio per la funzionalità tiroidea. La conclusione è significativa:
È assai interessante notare come alcuni pazienti con severo ipotiroidismo biochimico [cioè secondo i risultati dei test; N.d.A.] avessero sintomi clinici molto lievi, mentre altri pazienti con variazioni biochimiche minori presentassero manifestazioni cliniche assai severe. Da ciò deduciamo che l'ipotiroidismo nei tessuti degli organi bersaglio periferici dev'essere differente per ogni singolo paziente. Di conseguenza il quadro clinico può dare una stima valida della gravità individuale dell'ipotiroidismo metabolico.
L'endocrinologia ufficiale ha addirittura coniato il termine di “ipotiroidismo sub-clinico” per definire quei casi in cui il TSH è moderatamente elevato (< 10 mUI/l), FT3 e FT4 sono “nella norma” ma non sono presenti sintomi clinici. Esso pare interessare (a seconda delle stime) dall'8% al 14% della popolazione e aumenta con l'avanzare dell'età (chissà mai perché…). L'atteggiamento del medico in questi casi è generalmente wait and see, cioè “aspettiamo e vediamo cosa succede”. Sostanzialmente non si fa nulla e si aspetta per vedere se il quadro clinico diventa prima o poi conclamato. Solo in quel caso si inizierà la terapia (rigorosamente solo tiroxina, cioè T4).
Un paio di piccole obiezioni su questa nozione di ipotiroidismo sub-clinico. Prima di tutto abbiamo dei seri dubbi che un paziente con un TSH di 8 o 10 non abbia assolutamente alcun sintomo o problema legato alla tiroide e inoltre, proprio a proposito dell'assenza di sintomi, ci piacerebbe sapere quanti e quali sintomi vengono valutati per giudicare il paziente asintomatico e quindi affetto da ipotiroidismo sub-clinico. Pensate che venga considerato il lungo elenco di oltre cento sintomi riferibili all'ipotiroidismo che troverete nelle prossime pagine?
E, infine, visto che sono stati così bravi a identificare (da quel punto di vista sarebbe meglio dire “a prevedere”) un ipotiroidismo che “ancora non c'è”, perché mai non si sono ancora accorti di quell'altro ipotiroidismo, quello che invece c'è già, eccome, e che sostanzialmente è l'oggetto di questo libro? Cioè quello che potremmo definire “ipotiroidismo sub-laboratoristico” e che alcuni chiamano “ipotiroidismo funzionale”, dove ci sono degli evidenti segni clinici ma manca il riscontro negli esami di laboratorio.
Dall'altra parte, l'endocrinologia ufficiale, misurando la frazione attiva degli ormoni (FT3 ma soprattutto FT4) ha l'illusione di poter avere un quadro preciso ed esatto della funzionalità della tiroide. Ma, come abbiamo appena detto e come vedremo, si tratta appunto solo di un'illusione.
Vediamo di capire i motivi per cui riteniamo questi test inaffidabili.
Prima di tutto due parole sull'affidabilità degli esami di laboratorio in generale.
Molto spesso la gente ritiene che questi siano pressoché infallibili e che se un paziente risulta positivo a un test questi abbia effettivamente la patologia in questione mentre, se risulta negativo, questi sia perfettamente sano. In realtà non esiste nessun test affidabile al 100%.
Due sono i parametri che definiscono la precisione (predittività) di un test: sensibilità e specificità. La sensibilità è indicata dalla percentuale dei soggetti veramente ammalati che risulta positiva al test. La sensibilità ideale sarà chiaramente del 100%, cioè tutti i pazienti ammalati risulteranno positivi (nessun falso negativo).
La specificità è indicata invece dalla percentuale dei soggetti sani che risultano negativi al test. La specificità ideale sarà anche qui del 100%, cioè tutti i pazienti sani risulteranno negativi al test (nessun falso positivo). Ebbene, non esiste un test che abbia sensibilità e specificità del 100%. Nel caso dei test della tiroide che abbiamo preso in considerazione abbiamo una sensibilità attorno al 90% e una specificità attorno al 95%. Il che vuol dire che su 100 soggetti malati ne avremo 10 che non risulteranno confermati al test, e avremo 5 soggetti sani (su 100) che invece risulteranno identificati come malati dal test.
Questo ragionamento è valido per tutti i test di laboratorio ma nel caso degli esami della tiroide abbiamo altri motivi di preoccupazione riguardo alla loro attendibilità. La prima cosa da notare è che nel corso degli anni il range di normalità del TSH si è notevolmente ridotto. Trent'anni fa esso andava da 2,0 a 15,0 mUI/l, poi il valore massimo è stato abbassato a 10,0 mUI/l e attualmente il range va da circa 0,35 a 4,50 mUI/l.
Da questo si evince che chi avesse avuto un TSH di 10,0 mUI/L trent'anni fa sarebbe stato giudicato normale, cioè “eutiroideo”, come pure chi avesse avuto un TSH di 6,0 mUI/l solo alcuni anni fa. Questa variazione negli anni è stata attribuita all'aumentata sensibilità del test, ma sta di fatto che il rischio di giudicare normale un soggetto ipotiroideo affidandosi a questo test era, ed è tuttora, assai alto. Inoltre, il valore del TSH può essere inaffidabile se c'è un problema ipofisario o ipotalamico (ipotiroidismo secondario o terziario). Se un paziente presenta un TSH molto basso, con evidenti sintomi clinici di ipotiroidismo, dobbiamo sospettare che il problema sia proprio a livello ipofisario o ipotalamico. Il range di normalità per il TSH è ancora eccessivamente ampio, da 0,35 a 4,50, abbiamo infatti una variabilità di oltre dieci volte (mentre per esempio per FT3 e FT4 questo range non supera in genere le due volte) il che francamente ci appare un po' esagerato, sarebbe come dire che il range normale del colesterolo va da 140 a 1400 o per la glicemia da 70 a 700!
E veniamo ai test degli ormoni tiroidei T3, FT3, T4 e FT4. Pur considerando che ci possono essere piccole variazioni nei valori di riferimento da un laboratorio all'altro, il range medio di normalità per l'FT3 è circa 2,0-4,20 pg/ml mentre per l'FT4 è circa 0,7-1,85 μg/dl (i range di normalità hanno comunque qualche variazione in base ai singoli laboratori).
Riguardo a questi test dobbiamo far notare che essi misurano soltanto la quantità di ormoni circolanti nel sangue, e non la quantità di questi che effettivamente entra nei tessuti per svolgere la propria funzione.
Infatti, come abbiamo già visto, la quantità di ormone tiroideo che entra nelle cellule ed esercita la sua attività può trovare degli ostacoli: possiamo avere una “resistenza” dei recettori cellulari per gli ormoni stessi, e possiamo avere un deficit di conversione da T4 a T3, o le due cose possono presentarsi contemporaneamente. Possiamo anche avere problemi all'interno della cellula stessa, come i già citati difetti congeniti nei mitocondri, o difficoltà di trasporto, oppure la presenza di tossine sintetiche che riducono il metabolismo degli ormoni tiroidei a livello cellulare.
In tutti questi casi, gli ormoni nel sangue effettivamente ci sono, ma questi non possono svolgere la loro funzione, quindi potremo avere valori normali di T3 e T4, o addirittura valori superiori al normale, pur in presenza di un quadro clinico di ipotiroidismo.
Se il medico ignora la clinica e si fida ciecamente del laboratorio può succedere, come purtroppo accade spesso, che pazienti francamente ipotiroidei vengano giudicati eutiroidei o addirittura diagnosticati e trattati come ipertiroidei!
Se poi abbiamo le ghiandole surrenali ipofunzionanti questo interferirà in vario modo con la funzionalità della tiroide e quindi avremo una ragione in più per diffidare dell'attendibilità dei nostri risultati.
Il vero problema con questi test è che essi sono molto peggio che inutili, perché basandosi su di essi il medico corre il rischio di etichettare come sani pazienti effettivamente malati che quindi non riceveranno un trattamento adeguato o, peggio ancora, di prescrivere loro una terapia sbagliata perché i loro sintomi, una volta “escluso” l'ipotiroidismo, possono venire attribuiti ad altre patologie.
E questi test non sono affidabili neppure come base su cui modificare o aggiustare il dosaggio della terapia tiroidea, operazione per la quale è invece sempre meglio basarsi sui sintomi clinici del paziente.
L'ecografia ci può essere utile per valutare l'eventuale presenza di gozzo (se il volume della tiroide è aumentato) o di atrofia (se è ridotto), di noduli, e per esaminare la struttura della ghiandola che può essere omogenea oppure disomogenea, per esempio in caso di una tiroidite di Hashimoto avanzata.
Infine, i test per il dosaggio degli auto-anticorpi (TG-Ab, TPO-Ab ed eventualmente TR-Ab) sono decisamente più affidabili e possono effettivamente darci una indicazione importante per diagnosticare la presenza di una tiroidite autoimmune (il 95% dei pazienti affetti da Hashimoto presenta alterazione di questi anticorpi).

MA CHE FINE HA FATTO LA CLINICA?
Nelle pagine precedenti abbiamo riferito come per decenni la diagnosi di ipotiroidismo (o mixedema come allora veniva definito), veniva fatta dal medico basandosi esclusivamente sui sintomi e sui segni clinici del paziente. I medici delle passate generazioni avevano una grande conoscenza della semeiotica (che è appunto lo studio dei segni e dei sintomi) e un occhio clinico assai allenato. Oggigiorno, purtroppo, i progressi effettuati dalla tecnica in campo diagnostico, se da un lato ci hanno portato importanti innovazioni e tecnologie estremamente utili, dall'altro hanno ridotto sempre di più la capacità del medico di utilizzare i suoi cinque sensi per comprendere la natura della sofferenza e della malattia del suo paziente.
È emblematico di questa situazione il seguente paragrafo tratto da un importante e recente testo di endocrinologia tiroidea che non può certo essere tacciato di essere vicino alla “medicina naturale”:
Lo screening [del TSH; N.d.A.] è necessario perché ripetuti studi hanno dimostrato che i medici, inclusi gli endocrinologi, non sono in grado di effettuare la diagnosi di ipotiroidismo basandosi sulla storia clinica e sull'esame fisico del paziente.
I medici del passato avevano una preparazione clinica infinitamente superiore alla nostra e, spesso, sapevano riconoscere a prima vista un caso di ipotiroidismo, mentre i medici di oggi ignorano la storia medica e l'esame fisico dei pazienti che possono suggerire l'ipotiroidismo e il laboratorio regna sovrano. Per quel che riguarda questa malattia, abbiamo intere generazioni di medici e di endocrinologi che sono stati educati a curare gli esami del sangue e non i pazienti.
I testi di medicina sulla tiroide pubblicati nei primi decenni del secolo, pieni di sintomi dettagliati e di indicazioni cliniche, sono ancora attuali ed estremamente utili anche per il medico di oggi che dovrebbe studiarli accuratamente se realmente vuole aiutare questi pazienti.
Le illustrazioni in essi contenute mostravano le drammatiche trasformazioni anche nell'aspetto fisico dei pazienti che questi medici riuscivano a ottenere in seguito a una corretta diagnosi e a un trattamento adeguato mediante estratti tiroidei.

Qui sopra riportiamo alcune di queste foto, scattate prima e dopo il trattamento con tiroide secca, tratte dal già citato libro del dottor Starr.
Scrive sempre il dottor Starr:
Ai nostri giorni l'affidarsi agli esami di laboratorio sia per diagnosticare che per trattare l'ipotiroidismo, insieme all'uso della sola tiroxina sintetica invece della tiroide 50 - Curare in maniera naturale l'ipotiroidismo secca, non produce più gli straordinari cambiamenti fisici e la netta risoluzione del mixedema che erano raffigurati nei vecchi testi. Le immagini dei pazienti ipotiroidei prima e dopo il trattamento sono praticamente scomparse dai testi di medicina pubblicati negli ultimi cinquant' anni.
Quelle che riportiamo nella pagina seguente sono le ultime immagini di pazienti “prima e dopo” il trattamento con ormoni tiroidei che il dottor Mark Starr sia riuscito a trovare in un testo di endocrinologia e risalgono al 1957.
Come si vede il risultato del trattamento è a dir poco spettacolare, soprattutto per il fatto che esso è stato ottenuto in soli tre mesi e senza nessun'altra terapia che non fossero gli ormoni tiroidei.
Noi crediamo che dovremmo chiederci perché non vediamo più dei risultati così spettacolari. E già immaginiamo la prima obiezione: «Non si ottengono più perché non ci sono più casi di ipotiroidismo così conclamati visto che al giorno d'oggi questi vengono tutti trattati adeguatamente molto prima che si evidenzino sintomi così importanti». Chi, come noi, da anni si occupa di ipotiroidismo secondo gli insegnamenti dei maestri del passato e conosce le esperienze di Barnes, Hertoghe, Durrant-Peatfield, Starr, Brownstein ecc. sa bene che la realtà è assai diversa e sa che pazienti seriamente ipotirodei esistono ancora, ma che spesso vengono trattati (ovviamente con scarsi risultati) per altre patologie, perché viene ignorato il loro reale problema che è proprio un ipotiroidismo che nessuno è stato in grado di diagnosticare, magari perché «gli esami sono normali, quindi la tiroide va bene».

E quello che è interessante è che, una volta che si è presa dimestichezza con i sintomi e soprattutto con i segni fisici dell'ipotiroidismo, si cominceranno a riconoscere fin troppo facilmente molti di questi casi, magari nei vicini di tavolo al ristorante o fra la gente che si incontra per strada. Persone che soffrono da tempo dei problemi più disparati e che hanno stampati sul viso, in bella mostra, i segni della loro vera patologia, e che nessuno, e questo è veramente assurdo, ha colto ed è riuscito a diagnosticare. Riportiamo qui alcune frasi valide oggi come quando furono scritte, circa ottanta anni fa:
Le sensazioni del paziente non sono forse clinicamente valide come gli altri segni che raccogliamo? In nessun caso dobbiamo trascurarle. Il risultato “normale” di un esame di laboratorio è di poco conforto per un paziente i cui sintomi non migliorano e il medico potrebbe ripetere tali esami all'infinito, ma questi non aiuteranno molto il suo paziente se non sono accompagnati da un miglioramento dei sintomi e delle sue sensazioni. Il medico che ha successo è quello che riesce a fare stare meglio i suoi pazienti.
Henry Harrower, M.D. Endocrine Fundamentals, 1931
E a proposito della superiorità della clinica sul laboratorio, sempre Starr cita uno studio (non riferito alla tiroide) basato su autopsie e pubblicato nel 1992. Lo studio rivela che la storia medica del paziente portò alla diagnosi finale corretta nel 76% dei casi, l'esame fisico nel 12% e le indagini di laboratorio solo nell'11% dei casi.
Io credo che tutti questi dati debbano farci seriamente riflettere.

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