Etica per le Professioni. PROFESSIONE CITTADINO

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L'articolo 4 della nostra Costituzione afferma che «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Da una parte, viene affermato non solo il diritto al lavoro ma anche l’impegno da parte delle istituzioni repubblicane a creare le condizioni affinché tale diritto si realizzi, dall’altra, viene introdotto il significato e la portata non solo privata ma anche pubblica delle professioni e dei lavori.
Non si esercita una professione solo per sé stessi, soltanto per arricchire sé stessi, ma anche per la crescita e il bene comune di tutta la collettività.
Da una parte, c’è il “diritto” al lavoro e, dall’altra, c’è il “dovere” di contribuire al “progresso materiale e spirituale della società”.
Le riflessioni proposte in questo numero della rivista, sono orientate a far emergere e a configurare la “valenza civile” delle professioni, ossia cercano proprio di sviluppare la seconda parte dell’articolo costituzionale appena richiamato e, forse, ancora poco conosciuto e poco approfondito. L’esercizio della cittadinanza attiva e responsabile, vero pilastro delle nostre democrazie all’infuori del quale la forma democratica è destinata alla sparizione, non è altra cosa rispetto alla professione.
Essa rientra pienamente nella fioritura di un cittadino veramente attivo e corresponsabile della costruzione della città dell’uomo.
Non è affatto retorico, in questo senso, sottolineare che, dalla mansione più semplice alla professione più sofisticata o al lavoro più tecnologicamente avanzato, tutti costituiscono un campo di esercizio dei diritti e dei doveri del cittadino. Tutti rappresentano una declinazione dell’essere cittadino che si concretizza storicamente e qualitativamente nel processo stesso che vede la forma democratica evolvere e arricchire la sua valenza umanistica.
L’essere un buon professionista fa parte direttamente dell’essere un buon cittadino. Cosí come essere un buon cittadino implica essere un buon professionista, che svolge la propria attività con onestà e competenza. È chiaro anche che vi sono alcune professioni che più di altre rendono evidente tale circolarità. Addirittura, alcune professioni, più di altre, agiscono direttamente sulla promozione o sulla degenerazione della cittadinanza.
Si pensi solo al ruolo in tal senso delle professioni che agiscono sulla sfera dell’informazione e della comunicazione, ad ogni livello. Ma si può considerare anche la gamma delle professioni che hanno a che fare con gli àmbiti dei servizi sociali, della salute e dell’istruzione. Né va tralasciata l’area delle professioni che variamente si esprimono nei processi economici, produttivi, finanziari, giudiziari, poiché forse proprio qui le virtú del cittadino, quali ad esempio l’onestà e la competenza, vengono colte nel loro apporto esplicito al progresso civile della società intera.
La questione è quanto mai attuale e cruciale, in un contesto di sfilacciamento del tessuto civile e di perdita di credibilità della vita democratica. La “spoliticizzazione” di fette sempre più ampie delle nostre società occidentali, conduce a organizzare la propria vita professionale secondo un’ottica sempre più individualistica e cinicamente utilitaristica.
Ma ciò non fa altro che accrescere la spinta alla spolicitizzazione stessa delle persone. E la dove la vita professionale finisce per cadere sotto la logica del cinismo appropriativo dell’individuo, la relazione sociale si tramuta in guerra di tutti contro tutti. Secondo una scansione cara al pensiero politico moderno, si ritorna indietro dalla “società civile” allo ”stato di natura”, dove la morte dell’altro è la mia vita. Che talvolta l’àmbito professionale e lavorativo dia l’impressione di essere ormai governato da questa regressione, è il sentimento che si affaccia alla nostra percezione diffusa.
Educare alla cittadinanza, oggi, appare sempre più una priorità o, meglio ancora, uno stile, una attenzione costante, che parte dalla consapevolezza che è importante non solo saper leggere la realtà e il tempo in cui si è chiamati a vivere, ma ancor più impregnare di forme di vita e di relazioni personali, ancorché professionali, significanti e significative, positive ed esemplari. La cittadinanza, infatti, non è affatto esauribile nella sola titolarità di diritti e di doveri, ancorché fissati dalla Costituzione, ma è la “vocazione” alla quale si è chiamati a rispondere ed è la “condizione” che riempie di contenuti le esistenze di ciascuno, le relazioni tra le persone e la convivenza in comunità di persone in grado di ottenere la libertà e la realizzazione personali insieme a una più efficace coesione sociale.
L'etica della professione può costituire in questo momento storico carico di profondi rivolgimenti, una vera e propria occasione per ricostruire il senso civico, il valore di appartenere e di contribuire a un bene comune che sempre ci supera, ma al quale è indispensabile il contributo e l’apporto di ogni singolo buon cittadino.


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