Gli immigrati costituiscono davvero una risorsa e niente affatto una minaccia. Non possiamo più accogliere le prime e non riconoscere la seconda. Il mondo delle professioni è chiamato sempre di più a diventare un campo importante per le pratiche di inclusione e di convivenza.
- È un dato di fatto. I benefici portati dalla presenza degli immigrati nel nostro Paese sono vistosamente superiori rispetto a qualunque tipologia di scenario negativo. In altri termini, gli immigrati costituiscono davvero una risorsa e niente affatto una minaccia. Paradossalmente troviamo, invece, che si continua a pensare che gli immigrati sono una minaccia e non una risorsa.
Non siamo in presenza solo di un paradosso, ma anche di una contraddizione.
Nel nostro Paese le pratiche di accoglienza e di integrazione sono sorte prima di tutto dal basso, dalla società civile, dalle reti e dai canali informali, a fronte di una vistosa assenza da parte dello Stato e delle istituzioni preposte al governo dei processi migratori. Ancora una volta, la rete sociale e civile ha lavorato in anticipo e ha lavorato da sola sfidando sia la retorica securitaria sia la politica delle sanatorie.
- Lo scenario che sostiene l’architettura di questo Dossier osa suggerire che non possiamo più separare le braccia dalla persona del migrante. Non possiamo più accogliere le prime e non riconoscere la seconda. Il mondo delle professioni è chiamato sempre di più a diventare un campo importante per le pratiche di inclusione e di convivenza. Nessun altro mondo vitale come quello dei lavori e delle professioni, forse, è disposto in modo tale da presentarsi come l’occasione favorevole per dare vita a un nuovo ethos delle differenze che cooperano per il bene comune.
- Là dove l’immigrato trova questo ethos, non solo non rappresenta una minaccia, ma diviene addirittura un “valore aggiunto” o in ogni caso diventa un autentico protagonista della vita sociale nel suo complesso. Il campo delle professioni è un terreno prezioso per passare dall’integrazione spontanea all’inclusione basata sul riconoscimento. Può trasmettere mediante i processi di un vero e proprio apprendimento sociale, quelli che sono i valori e le regole elementari di umanità e di rispetto dell’uomo che sono a fondamento dell’etica delle professioni.
- Nel campo delle professioni chi persegue cinicamente solo il proprio tornaconto, non è affatto un modello da seguire ma una minaccia per tutti da prevenire e disinnescare. L’etica del lavoro ben fatto, l’etica civile delle buone regole, l’etica della responsabilità, l’etica della cooperazione e della convivenza, sono la grande risorsa che il mondo delle professioni può mettere in campo per creare veramente lo scenario favorevole a quella fiducia che gli immigrati ci chiedono di dare loro, affinché ci possano rendere partecipi delle loro ricchezze umane e del loro desiderio di costruire una convivenza promettente per tutti.
E' un dato di fatto. Se i numeri hanno ancora un senso per i nostri ragionamenti, i dati sociali, produttivi, economici, contributivi, scolastici, ecc., che riguardano la presenza degli immigrati in Italia sono tutti sotto il segno positivo. Se il lettore vorrà leggere con calma e attenzione gli articoli che hanno costruito questo numero della rivista, lo potrà verificare da sé. In sintesi, scorrendo cifre e argomenti esposti dagli studiosi qui invitati, il lettore potrà scoprire che i benefici portati dalla presenza degli immigrati nel nostro Paese sono vistosamente superiori rispetto a qualunque tipologia di scenario negativo. In altri termini, gli immigrati costituiscono davvero una risorsa e niente affatto una minaccia.
Paradossalmente troviamo, invece, che nella mentalità corrente si è cristallizzato, quasi a modo di senso comune, l’orientamento opposto, ossia che la somma complessiva della presenza migrante è a perdere e non a guadagnare. Di più, si continua a pensare che gli immigrati sono una minaccia e non una risorsa. Non siamo in presenza solo di un paradosso, ma anche di una contraddizione. Infatti, il secondo filo rosso che emerge dai diversi contributi, è dato dal fatto che nel nostro Paese le pratiche di accoglienza e di integrazione sono sorte prima di tutto dal basso, dalla società civile, dalle reti e dai canali informali, a fronte di una vistosa assenza da parte dello Stato e delle istituzioni preposte al governo dei processi migratori. Ancora una volta, la rete sociale e civile ha lavorato in anticipo e ha lavorato da sola sfidando sia la retorica securitaria sia la politica delle sanatorie. Ma attenzione, perché il giudizio degli studiosi è chiaro e trasversale: se il modello italiano di integrazione spontanea e dal basso ha funzionato fino a qui, in futuro non sarà più in grado di funzionare in maniera altrettanto benefica.
Il terzo motivo per riflettere che ci viene offerto in questo numero, è dato dal fatto che non possiamo più separare le braccia dalla persona del migrante. Non possiamo più accogliere le prime e non riconoscere la seconda. La testimonianza dell’imprenditore immigrato che apre questo Dossier, dedicato appunto a “Lavoro e Migrazioni”, esprime un appassionato e motivato desiderio di riconoscimento integrale (braccia, intelligenza, cuore, convinzioni e pratiche di vita) della persona degli immigrati, senza essere una perorazione. Si tratta piuttosto dell’evidente intreccio che si è realizzato nei fatti, ma non nelle nostre pratiche riflessive, tra presenza, lavoro e convivenza nelle nostre città e nei nostri quartieri.
Lo scenario che sostiene l’architettura di questo Dossier osa suggerire che il mondo delle professioni è chiamato sempre di più a diventare un campo importante per le pratiche di inclusione e di convivenza. Nessun altro mondo vitale come quello dei lavori e delle professioni, forse, è disposto in modo tale da presentarsi come l’occasione favorevole per dare vita a un nuovo ethos delle differenze che cooperano per il bene comune.
Nei lavori e nelle professioni, infatti, non sono più sufficienti le sole braccia, ma vi è bisogno di tutta la persona, con la sua storia e le sue convinzioni, con la sua memoria e le sue aspirazioni, con la sua intelligenza e la sua intraprendenza.
Là dove l’immigrato trova questo ethos, non solo non rappresenta una minaccia, ma diviene addirittura un “valore aggiunto” o in ogni caso diventa un autentico protagonista della vita sociale nel suo complesso. Il campo delle professioni è un terreno prezioso per passare dall’integrazione spontanea all’inclusione basata sul riconoscimento. È prezioso inoltre perché può trasmettere mediante i processi di un vero e proprio apprendimento sociale, quelli che sono i valori e le regole elementari di umanità e di rispetto dell’uomo che sono a fondamento della stessa etica delle professioni. Queste ultime infatti non sono un luogo sregolato e cinico, ma una comunità di pratiche che si regge sulla legalità e sulla complementarietà, dove ciascuno mette a frutto i suoi talenti e nello stesso tempo contribuisce a far crescere tutta la comunità.
Nel campo delle professioni chi persegue cinicamente solo il proprio tornaconto, non è affatto un modello da seguire ma una minaccia per tutti da prevenire e disinnescare. L’etica del lavoro ben fatto, l’etica civile delle buone regole, l’etica della responsabilità, l’etica della cooperazione e della convivenza, sono la grande risorsa che il mondo delle professioni può mettere in campo per creare veramente lo scenario favorevole a quella fiducia che gli immigrati ci chiedono di dare loro, affinché ci possano rendere partecipi delle loro ricchezze umane e del loro desiderio di costruire una convivenza promettente per tutti.
Lorenzo Biagi
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Scritto da Vincenzo il 12/07/2020